Questo dossier fa parte degli approfondimenti dedicati all’Agenda 2030 e analizza il target 15: la vita sulla terra.
Il land grabbing, l’accaparramento della Terra, è un fenomeno spesso collegato alle cause di conflitti, di guerre e di migrazioni. Si concretizza attraverso l’acquisto, l’affitto sottocosto o l’espropriazione dei terreni alle popolazioni locali per grandi coltivazioni, spesso a monocultura e per lo sfruttamento di risorse naturali. Il land grabbing è guidato da interessi economici e politici di poteri sovrani ed imprenditoriali che si svolgono al di sopra dei diritti, dei bisogni e delle speranze delle comunità locali.
Il fenomeno esiste da molti anni, ma è dall’inizio della crisi finanziaria del 2007 che è cresciuto in maniera esponenziale. Molto spesso dai terreni accaparrati vengono cacciate intere comunità, senza prevedere nessun tipo di risarcimento. I mandanti possono essere i governi di altri Stati, i consigli di amministrazione di grandi aziende o investitori privati. La maggior parte dei terreni non è venduta, ma data in affitto (leasing) per periodi molto lunghi, di solito 25, 50 o 99 anni.
In questo dossier analizziamo il fenomeno attraverso il rapporto redatto dal Focsiv dal titolo “I padroni della terra, rapporto sull’accaparramento della terra 2019” e i dati del Land Matrix (vedi Chi fa cosa). Dal rapporto emerge che nel 2018 i contratti di acquisto o locazione di terra in corso di negoziazione, conclusi e falliti, hanno raggiunto i 1.800 per una dimensione totale di 71 milioni di ettari.
Di seguito riportiamo le tabelle riferite ai primi dieci Paesi investitori e ai dieci principali target, oltre al grafico che ripercorre i principali casi di land grabbing del 2018 estrapolate dal rapporto del Focsiv.
In Africa
Quello africano è il Continente dove si svolgono le maggiori acquisizioni di terra su larga scala. Secondo l’Lmi le ragioni sono molteplici: la disponibilità di terra e altre risorse naturali, ragioni geografiche, culturali, storiche e specifiche del paese ospitante come la politica supporto o opportunità di mercato.
Nel rapporto del Focsiv del 2019 sono riportati alcuni di questi casi: quello delll’Etiopia per l’Africa Orientale, del Mali per l’Africa Occidentale, della Repubblica Democratica del Congo per l’Africa Centrale, del Madagascar per l’Africa Meridionale.
Il dossier rileva che “in Mali si concentrano numerose grandi imprese anglofone per l’estrazione dell’oro che sversano materiali tossici e diffondono polveri che inquinano terre ed acque, e che minano la salute delle comunità. Comunità che vengono informate e coinvolte in modo insufficiente, senza trasparenza e consultazioni ben condotte, con rimedi e compensazioni limitate, contravvenendo quindi alle norme internazionali e ai codici nazionali sulla gestione fondiaria e sulle miniere”. Stessa modalità anche nel caso della multinazionale Glencore in Congo, dove le sue miniere hanno contaminato terreni e fiumi.
Una notizia positiva africana arriva invece dalla legislazione del Mali del 2017 per la formalizzazione dei diritti consuetudinari sulla terra che è stata salutata positivamente dalla Convergenza Maliana contro gli Accaparramenti di Terre e dalle mobilitazioni che nell’ultimo anno, come in passato, hanno portato benefici alle popolazioni. Un caso risale al 2009, quando le manifestazioni delle comunità locali contro gli accordi per l’accaparramento delle terre hanno mobilitato una forte opposizione che ha provocato la caduta del governo del Madagascar. Un caso più recente si è verificato in Etiopia. Qui le contestazioni dei giovani studenti delle comunità Omoro contro l’imposizione del grande nuovo piano urbanistico ed industriale di Addis Abeba hanno creato una situazione di instabilità politica che ha portato a un ricambio di leadership. Gli oromo avevano protestato più volte contro il piano governativo di landgrabbing che da anni toglieva terre ai contadini del posto in favore di grosse aziende straniere. Il piano prevedeva di espandersi per 1,5 milioni di ettari intorno alla regione, sfrattando gli agricoltori locali.
In Asia
La mancanza di terra e di un accesso sicuro a terra, acqua e risorse forestali sono state identificate come questioni prioritarie da molte organizzazioni di piccoli agricoltori in Asia. Le acquisizioni di terra su larga scala restano una grave minaccia per il sostentamento di molti. Come rileva la Lmi spesso le acquisizioni sono circondate dal segreto e questo consente a potenti funzionari, aziende e individui di arricchirsi a spese della popolazione locale.
A febbraio 2019, il database Land Matrix aveva registrato 1.105 acquisizioni di terra su larga scala in Asia, coprendo 19.396.447 milioni di ettari. Di questi accordi, 864 (78%), che riguardano 15.942.266 milioni di ettari, sono stati e conclusi e 123 (11%), ovvero riferiti a 1.515.281 milioni di ettari, sono in previsione previsti, mentre lo stato di 77 (7%), 796.485 ettari, è ancora sconosciuto. Solo 41 operazioni (4%), che coprono 1.142.415 ettari, non si sono concretizzate a causa di trattative fallite o di cancellazioni. La maggior parte delle acquisizioni di terra su larga scala sono concentrate nel Sud-Est asiatico e riguardano l’agricoltura, la conservazione, la silvicoltura, l’industria, le energie rinnovabili e il turismo. In Asia centrale le acquisizioni di terra su larga scala sono principalmente associati all’interazione di terreni agricoli, in particolare pascoli e progetti minerari.
Una fenomeno recente e in crescita è infatti la conversione dei pascoli in terreni coltivati o altri tipi di uso del suolo, con il “coinvolgimento di investitori stranieri poiché il governo assegna i terreni agricoli a sistemi di uso del territorio più efficienti apparentemente per aumentare l’efficienza economica attirando investimenti per l’agricoltura terre che sono state abbandonate dopo la privatizzazione di cooperative gestite dallo stato”. Dei 23 paesi coperti dal database, i primi sei paesi con il maggior numero di contratti di proprietà sono Cambogia, Indonesia, Filippine, Laos, Vietnam e India.